Tecniche Nuove ha organizzato la conferenza che chiudeva la fiera di Milano.
Ritrovo Davide Sher e il team di Sisma e si chiacchiera mentre si cerca di infilare la password di internet, una password che inizia con il simbolo della sterlina. Dopo che i ragazzi in giacca e cravatta blu hanno trottato da una parte all’altra della sala il wi-fi viene aperto. Eravamo al Vodafone theatre e che internet non funzionasse sembrava ridicolo.
La sala è piena a metà, come ha fatto notare un signore in barba bianca parlando a voce troppo alta al telefono.
Inizia la conferenza ed entra Silvia, una mora in tacchi a spillo e voce ingolata fin troppo entusiasta. Presenta
Mike Vasquez di 3Degrees, ingegnere dei materiali, che ha dedicato il suo lavoro ad aiutare le aziende a comprendere i vantaggi delle tecnologie additive e a farli fruttare. Quello che stiamo facendo anche noi! Ho detto ad Enrico al telefono durante la pausa caffè. I produttori di macchine e la stampa in genere ha fatto un mucchio di polverone sulla stampa 3D, a volte creando false aspettative. Le tecnologie additive sono per davvero il futuro ma forse non come ce l’hanno raccontato, non è ancora come schiacciare un pulsante ma da la possibilità di creare oggetti complessi e diversi da tutto quello che era stato pensato fino ad ora.
“In questo momento siamo nella curva discendente della disillusione” Dice Mike Vasquez, solo quando avremo toccato questo fondo potremmo utilizzare in maniera veramente proficua queste nuove tecnologie. Inizialmente esternalizzate, non compratevi la prima stampantina da 800 euro che trovate nel grande magazzino. Dovete formare i vostri dipendenti prima di comprare una stampante 3D, dovete formare tutti i vostri dipendenti per poter sfruttare al massimo quello che la stampa 3D offre. Bisogna puntare sui progettisti e sulle certificazioni”. Questo non lo dico ad Enrico al telefono se no mi becco un: “E io cosa ti ho sempre detto?”
Silvia rientra in equilibrio sui tacchi masticando il suo splendido inglese, ringrazia e presenta il secondo ospite
Il professor Danai della XJet che presenta una nuova tecnologia, la Nano particle jetting. Chi sono i fondatori della XJet? Niente di meno che coloro che hanno creato HP (quella delle stampanti 2D), le Objet della Stratasys (quella delle stampanti 3D) e oggi XJet la nuova stampante per stampare i metalli. In realtà il procedimento è sempre lo stesso: un uggello che deposita del materiale. Per l’HP è inchiostro su carta, per la Objet della Stratasys è resina su resina e materiale idrosolubile, e per la XJet? Il materiale è costituito da nano particelle di metallo sospese in un liquido che evapora quando il materiale viene cotto a 300 gradi (eliminando così il materiale di supporto). La macchina uscirà l’anno prossimo, se supera tutti i test, e per ora è disponibile un solo materiale: l’acciaio inossidabile 341sl. Avrà 24 testine e i layer saranno di 2 micron. Come prediceva Mr Vasquez il professor Danai promette che la sua macchina è di facile utilizzo e che non abbisogna di nessuna, quasi nessuna, forse, post-lavorazione.
Questa del professor Danai è la presentazione Europea della XJet, un buon colpo per Tecniche Nuove. Silvia inguantata nei suoi vestiti neri presenta il terzo ospite:
Il dottor Glem E. Green Md. Università del Michigan, Otorino pediatrico. Questo signore molto solare ha inventato uno Splint (i cui diritti per l’Europa sono gestiti da Materialise) in Caprolactone per curare una malattia pediatrica terribile: la tracheobronchomalacia. Questa malattia fa collassare la trachea e il piccolo muore di asfissia. La beffa di questo orrore è che con la crescita del paziente la malattia regredisce fino alla guarigione. Lo Splint del dottor Glem Green riesce ad aprire la trachea e a crescere insieme al suo piccolo grazie alla sua forma customizzata sul paziente e complessa.
Questo è un caso molto particolare di uso della stampa 3D, reso possibile dal fatto che la FDA ha dato il permesso nonostante l’assenza di sperimentazioni visto il disperato quadro clinico dei piccoli pazienti.
Altri utilizzi della stampa 3D in campo medicale sono: 1. Modelli operatori, ovvero la riproduzione della parte interessata in modo che il chirurgo possa fare pratica. 2. Creare degli strumenti per aiutare i pazienti nella comprensione della loro malattia, come la stampa dei tumori; questa cosa che può sembrare ansiogena per un adulto è molto rassicurante per un bambino. 3. La creazione di cartilagini impiantabili come orecchie o naso. 4. la creazione di strumenti personalizzati come lo Splint.
Momento di pausa e scambio di opinioni tra la bella Silvia e i tre relatori. Mr Vasquez parla della paura che hanno le aziende delle nuove tecnologie. La bella Silvia si gira verso il dottor Green e gli chiede sorridendo della paura dei genitori quando gli dici che loro figlio affronterà un’operazione mai sperimentata prima. Sempre sorridendo chiede al professor Danai come si elimina il materiale di supporto nella nuova stampante Xjet.
4.Rachel Gordon, Cambrige IDTECHEX
Le conferenze del pomeriggio iniziano con l’ingegnere dei materiali Rachel Gordon dell’ IDTechEx di Cambrige (UK).
La bella Silvia nel frattempo si è cambiata le scarpe che ora riluccicano in oro su zeppa dorata. Silvia accoglie l’ingegnera Gordon chiedendole di dimostrare quanto anche noi donne possiamo valere come scienziate. L’ingegnera Gordon la guarda perplessa.
IDTechEx è un’azienda di ricerca indipendente che offre consulenza alle aziende su diversi materiali anche utlizzati in tecnologia additiva. Le loro principali attività consistono nella ricerca, nella consulenza e nella promozione di manifestazioni.
L’intervento è stato generico sulla descrizione delle varie tecnologie utilizzate, i materiali e alcune aziende che le utilizzano. Ha fatto un solo cenno alle differenze tra le varie resine che possono essere utilizzate come le resine acriliche e le resine epossidiche: una delle differenze illustrate è l’incidenza da dermatiti da contatto. Dati non facili da trovare e di grande interesse.
“Una domanda Rachel, ma tu da piccola con cosa giocavi?” “Con le bambole” risponde l’ingegnera Gordon sempre più allibita. E a grandi falcate Silvia va incontro ai relatori del secondo intervento del pomeriggio, a mio parere il più entusiasmante.
Il professor Peter Houk del Massachusetts Institute
of Technology (USA) di Boston e da Giorgia Franchin dell’Università degli studi di Padova.
Peter Houk è responsabile del laboratorio di lavorazione del vetro del Mit, un laboratorio dove studenti di varie discipline si incontrano. A uno dei suoi studenti è nata la curiosità di voler realizzare una stampante 3D del vetro; varie discipline si sono incontrate per creare questa stampante. Dall’ugello, inizialmente di 2 cm di diametro e poi ridotto, esce il vetro che si deposita sulla seconda fornace; la doppia fornace serve per impedire che il vetro estruso si raffreddi troppo velocemente e permette al vetro di rilasciare gli stress termici. Il processo è guidato dalla forza di gravità, dalla viscosità del vetro, dalla forma dell’ugello, da quanto materiale vi è e dalla velocità con cui si estrude. I layer sono di 9 mm e hanno una buona trasparenza e un’ottima aderenza e la quasi mancanza di rifrazione. La base dello studio è stata l’autoavvolgimento delle strutture viscose e da lì si sono iniziate a studiare strutture sempre più complesse.
Le sperimentazioni sulle varie geometrie, l’utilizzo dei colori e il perfezionamento delle stampanti (che pare che per ora abbiano una vita piuttosto breve viste le alte temperature alle quali debbano arrivare) sono ancora in corso per questa nuova tecnologia.
I relatori hanno fatto vedere alcuni prototipi di questi oggetti in vetro e il risultato è notevole e luminoso.
Simon Fried della Nano dimension , azienda israeliana di elettronica stampata, ha presentato la sua tecnologia che stampa con inchiostri conduttivi o con nano particelle in argento, rame, inchiostri dialettici e paste conduttive.
I vantaggi sono dati dalla velocità, la flessibilità e l’economicità del processo.
Sulla velocità e la flessibilità i vantaggi sono quelli soliti che la stampa 3D ha portato ovunque sia arrivata:
Consente la creazione di elementi più piccoli, con le stesse caratteristiche conduttive di elementi più grandi;
Nessuna messa a punto di utensili, tra cui schermi o stencil, quindi i cambiamenti nel modello possono essere riprodotti in modo semplice e immediato;
Una produzione più flessibile per facilitare la personalizzazione e la produzione di lotti più piccoli.
In più sembra che i nano inchiostri siano più precisi e a una risoluzione più alta rispetto ai circuiti stampati tradizionalmente.
Anche gli svantaggi segnalati sono i soliti, il maggiore è l’impossibilità di soddisfare grandi numeri.
Silvia chiede: “Ma come mai tante realtà innovative vengono da Israele? La Xjet prima la nano dimensio ora…” “Abbiamo buone università e spendiamo molto nella ricerca.” è stata la risposta lapidaria.
Ultimo relatore è stato Maurizio Costabeber della DWS che ha raccontato la sua storia di precursore ed imprenditore.
Nel 1998 in Giappone ha contribuito a realizzare ed ha commercializzato alcune delle prime stampanti 3d, il suo obbiettivo era quello di realizzare delle macchine prosumer, affidabili, professionali ma alla portata di tutti. Queste macchine erano ricavate da degli scheletri di lavatrici.
Nel 2003, con il suo socio Giapponese, inventa la prima macchina a stereolitografia continua (una carbon 3d ante litteram) ma i problemi tecnologici a cui sono andati incontro li hanno fatti desistere e hanno cambiato radicalmente strada buttandosi su macchine altamente professionali. La loro prima macchina dedicata ai professionisti è stata la Digitalwax010, una stereolitorafia blu laser source.
Nel 2007 si buttano in un mercato che sarà poi uno dei traini per queste tecnologie: il dentale con la DigitalWax015. Nello stesso anno esce la DigitalWax029, la prima macchina a stereolittografia pull-up e con sistema di scanning galvanometrico.
Nel 2009 esce la DM210, la prima resina ibrida nano-ceramica.
Nel 2011 esce la DWS030 una sla multilaser, pull-up e con vaschetta mobile (Patented TTT system, Tank Translation System).
Il 2012 è l’anno di Temporis, materiale biocompatibile di classe 2A.
Nel 2013 escono la DFab, una stampante pensata per gli studi dentistici e la DWS LAB.
Nel 2014 esce la prima XFAB, oggi circle, una sla pensata per i prosumer: una macchina semplice da utilizzare, con delle buone rese finali e con 10 materiali a disposizione. Il piano di lavoro è un cilindro di 18mm e il layer va dai 10 ai 100 micron. Questa è la macchina che Maurizio Costabeber reputa la realizzazione del suo primo sogno nipponico: una stampante professionale alla portata di tutti. Il prezzo è di 5000 euro più iva.
Ultimo simposio tra Silvia e i suoi relatori.
“Rachel, quando hai visto per la prima volta una stampante 3D cosa hai fatto?” “L’ho spolverata.” Risponde a tono l’ingegnera sorridendo.
Nonostante i tacchi dorati un applauso a Tecniche Nuove.
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