Technology hub di giugno, arrivata a Milano mi perdo alla ricerca dell’entrata della metropolitana in stazione Centrale. Mi aggiro tra cunicoli che paiono sotterranei, uniti gli uni agli altri da tapis- rulant, dopo un tempo che mi pare infinito esco finalmente davanti all’uscita della stazione Centrale: l’entrata della metropolitana è lì, dove è sempre stata ma invece dello scalone che unisce i binari all’uscita ho fatto un giro interminabile. Io e una coppia con i trolley ridiamo increduli: “Deve essere stato fatto per l’expò”, dice il maschio con il trolley. Ci inoltriamo finalmente sotto terra attraverso una normale scala mobile.
Come vi avevo promesso dopo il primo resoconto del Tecnology Hub ecco che nella calura estiva ci occupiamo di una delle sperimentazioni che mi hanno più incuriosito ovvero una ricerca fatta dall’ IIT, istituto italiano di tecnologia, finanziata dalla Comunità Europea, sulla costruzione di robot ispirati alle piante.
Il banco dell’ITT espone un albero il cui tronco e i rami sono stampati in 3D; sopra i rami vi sono dei fiori di plastica traslucida, sotto il tronco, grandi quasi il doppio rispetto a tronco e rami, le radici. Esse affondano in un terreno artificiale fatto di palline bianche contenute in una bacheca, queste radici sono grosse e tozze, quasi dei grossi bacchi, un ragazzo in camicia bianca mi sorride:
– Cos’è?
Chiedo sorridendo.
– Un Plantoide.
Mi risponde lui, fissandomi.
– A cosa serve?
Continuo, cercando una relazione con questo cervellone dell’IIT poco loquace.
– Non si sa, noi lo abbiamo fatto ma ancora non ha un’applicazione pratica specifica, per ora abbiamo fatto le sperimentazioni con questo terreno sintetico, molto più facile da perforare rispetto al terreno reale.
Povero Plantoide, non ho ancora capito cosa fa e come è stato costruito che viene subito
presentato come inutile e vengono messe in mostra le sue deficienze.
Invece il Plantoide è un robot estremamente interessante, non per niente la Stampa lo salutava come un possibile elemento rivoluzionario per il monitoraggio del suolo; perfino l’ESA si è dimostrata interessata per lo studio dell’ancoraggio della nuova navetta spaziale Rosetta e in campo medico si sono aperti nuove possibilità per lo studio di endoscopi intelligenti.
Ma come funziona?
Il Plantoide si inserisce nel campo della robotica bioispirata, ovvero lo studio della natura per progettare delle macchine che possono adattarsi all’ambiente circostante in maniera autonoma. I principali punti di studio del plantoide sono le radici e le foglie.
Il movimento delle piante è frutto di una lunga ricerca attuata dalla natura che ha perfezionato e reso il più economico possibile ogni passaggio: far crescere una radice è dispendioso in termini energetici e quindi le piante non buttano le loro radici a casaccio nella speranza di trovare qualcosa, esse devono
superare degli ostacoli che si pongono sul loro cammino,
allontanarsi da quei fattori che potrebbero essere pericolosi
avvicinarsi a quelle sostanze come l’acqua e altri agenti nutritivi che invece servono alla pianta nel suo insieme
Caratteristica interessante, lo fanno andando verso il basso, quindi seguendo la gravità.
Davanti a me il poco loquace ricercatore mi fa vedere come funziona avvicinando una tavoletta impregnata di qualcosa di allettante per la nostra radice (forse anche solo acqua). Questa si gira e vi si avvicina, la radice cresce grazie alla stampa 3d ovvero ha un estrusore posto in cima alla testa della radice che depone un filamento di plastica termoindurente; per fare le curve l’estrusore (la parte dove esce il filo di plastica molle che poi si indurisce raffreddandosi) torna indietro e poi di nuovo avanti. La radice si autocostruisce layer by layer, strato su strato, lentamente, come lentamente si costruiscono le piante.
Il ricercatore pone ora davanti alla radice un ostacolo e la radice si gira, oltrepassa l’ostacolo e poi riprende a crescere verso il basso.
La difficoltà più grande è stato capire come crescono le radici, perché queste si allungano dalla punta, e non dal fondo, permettendo di ottimizzare il processo.
E i fiori?
Anche i fiori si muovono, cioè si aprono e si chiudono in relazione all’umidità.
Non lo chiedo ma pensare alle foglie come pannelli solari che seguono il sole mi pare una banalità e il mio poco loquace ricercatore mi sorride.
Grazie.
Faccio qualche ricerca e scopro che c’è un mondo dietro alla robotica soft, cioè la robotica che non usa scheletri già realizzati ma che se li costruisce.
La professoressa Barbara Mazzolai, direttrice del Centro di Micro-Biorobotica dell’IIT di Pontedera, è l’ideatrice e la project manager del programma di ricerca Plantoid. ”La mamma del Plantoide” è una biologa marina e una delle due italiane citata da RoboHub, uno dei siti di riferimento sui robot che ha pubblicato, per il terzo anno consecutivo, la sua lista di “25 donne in robotica che dovete conoscere” (25 Women in robotics you need to know about).
In questo caso la stampa 3D è uno dei tanti elementi che hanno reso possibile la creazione di questo prototipo, è una delle parti che costituiscono questo nuovo filone di ricerca che avrà, mi auguro, importanti applicazioni anche pratiche.
Qualche sito di approfondimento:
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